giovedì 3 gennaio 2008

Kenya, Pakistan e la decolonizzazione


In questi giorni, dopo l'assassinio di Benazir Bhutto, si è saputo che la presidenza del partito andrà al figlio, con il padre in veste di reggente. Nello stesso periodo si sono avuti oltre duecento morti in Kenya per le elezioni del nuovo presidente. Dei fatti indiani sappiamo ormai molto, sottolineo solo come in tutto il subcontinente la leadership politica sia un fatto - oltre che connesso al credo religioso - meramente famigliare: Pandit Nerhu e sua figlia Indira, Alì Bhutto, la figlia Benazir ed ora un ragazzo di appena diciannove anni.


Il caso del Kenya è completamente diverso, ma egualmente peculiare. Il Kenya divenne indipendente sotto la guida di Johnstone Kamau, passato alla storia col nome di Jomo Kenyatta, il quale ebbe l'indiscutibile merito di appoggiare i britannici dopo il soffocamento della sanguinaria rivolta Mau Mau della fine degli anni cinquanta, di cui egli era stato uno degli ispiratori. Durante quella rivolta vennero assassinati 14000 neri ed un centinaio di bianchi: come sempre i primi omicidi e stupri riguardarono missionari e suore. Dopo l'indipendenza, Kenyatta mantenne una linea moderata e rimase vicino al Regno Unito: grazie a ciò vi furono sviluppo e migliori condizioni di vita. A Jomo succedette Daniel Moi il quale, grazie a colpi di stato in bianco, brogli elettorali ed alla frammentazione tribale dell'opposizione, rimase al potere per oltre venticinque anni, durante i quali la nazione sprofondò nella povertà e nella corruzione.

Il successore fu l'attuale presidente Mwai Kibaki, sempre di etnia bantù come Moi. Kibaki ha ora vinto le elezioni contro Raila Odinga, dell' etnia luo ed ex comunista, nonostante sondaggi completamente sfavorevoli. I supervisori internazionali avevano dichiarato che non c'erano stati brogli: hanno dovuto smentire sé stessi dopo l'evidenza dei fatti. Ora il Kenya è nel caos più completo e si è aggiunta la violenza e la pulizia etnica agli innumerevoli mali che stanno divorando la popolazione, il più grave dei quali è l' AIDS: anche se gli organi di stampa ne parlano poco, il Kenya ha un tasso di sieropositivi altissimo. Ora nel libero Kenya, indipendente da oltre quaranta anni, la polizia spara sui manifestanti, i civili girano per le strade armati di machete e cinquanta persone sono state bruciate vive nella chiesa nella quale avevano cercato rifugio.


Durante i nefasti anni della decolonizzazione, i pochi di buon senso che si opposero a quella che non fu altro che una decisione ideologica, moralista e perbenista, sostenevano - a ragione - come fosse indispensabile superare la cultura tribale, prima di concedere l'indipendenza alle colonie africane. I colonizzatori inglesi in India sostenevano che sarebbe stato criminale concedere l'indipendenza prima di aver instillato nel popolo il rispetto delle diversità e delle diverse fedi: indù, musiulmani, siks ed altre minoranze.

Ora, ad oltre sessanta anni dall'indipendenza indiana, ad oltre quaranta da quella keniana, si possono tirare alcune somme sullo stato attuale di queste nazioni. India e Pakistan sono due potenze nucleari, hanno combattuto tra loro tre guerre sanguinose ed il Pakistan è stato per anni vicino a movimenti terroristici. L'India sta ottenendo da anni tassi di sviluppo altissimi e primeggia ormai in studi ed attività all'avanguardia come l'informatica e la matematica. La cultura indiana - da sempre - presenta degli aspetti che non possono che essere apprezzati e rispettati: dignità, amorevolezza, straordinaria capacità di lavoro, un concetto di semplicità che è il prodotto di sintesi di una sofisticata filosofia di vita. Tutto ciò si scontra con elementi di sconcertante violenza ed arretratezza: l'abominevole sottocultura delle caste, la sottomissione della donna. Il sistema della caste è profondamente radicato e la vita dei paria vale praticamente nulla nella società indiana, la nascita di una bambina, soprattutto nelle famiglie povere, è vissuta come una disgrazia, dal momento che sarà quasi impossibile trovare le risorse per l'indispensabile dote; il risultato sono innumerevoli vittime di "incidenti" in cucina, che causano la morte di donne. Ricordo che fu una legge britannica a vietare l'assassinio delle vedove, che venivano bruciate vive sulle pire funebri del marito. L'India è una democrazia solo di nome, l'oligarchia bramina domina le scelte importanti della nazione e non viene data alcuna possibilità alle classi deboli. Il Pakistan ha fatto solo alcuni timidi tentativi verso la democrazia; sia in India, sia nello stesso Pakistan è ancora in uso l'assassinio di leaders politici. Credo che non serva aggiungere altro: nessuno mette in discussione il patrimonio della cultura indiana, ma detta ricchezza popolare viene usata come alibi da una classe dirigente reazionaria, violenta e corrotta, per coprire i propri crimini, la propria mancanza di senso dello stato e di rispetto per tutto il popolo.

Per quanto riguarda il Kenya in particolare e l'africa in generale il discorso è molto più semplice: hanno adottato un manto di istituzioni che poggiano sul potere vero, l'unico potere che gli africani di colore conoscono, la violenza. Hanno adottato un manto di istituzioni statali che copre l'unica forma di aggregazione che gli africani riconoscono: quella tribale.


Così dopo sessanta anni di violenza, massacri, stupri, guerre, miseria e malattie, le ragioni del fallimento di queste nazioni si sono dimostrate essere quelle da sempre previte dai tanto disprezzati colonizzatori. Ora è impossibile riproporre le vecchie forme coloniali, ma certo è il fatto che l'indipendenza ha portato in queste nazioni molto più dolore di quanto ne avessero portato i regimi occidentali. I governanti locali si sono dimostrati nella migliore delle ipotesi non all'altezza della situazione, nella peggiore dei delinquenti sanguinari. Molto hanno da rimproverarsi gli occidentali, per non essere stati all'altezza del "white men's borden", ma è nulla rispetto a ciò che videro e vedono riflesso nello specchio politici come Zia ul Haq, Patrice Lumumba, Joseph Mobutu, Robert Mugabe, Idi Amin Dada, Muammar Gheddafi, Jean Bedel Bokassa e l'elenco sarebbe lunghissimo.

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